Cinema

Cosmopolis

Cosmopolis

Eric Packer, Robert Pattinson, è un ventottenne miliardario che trascorre la maggior parte del suo tempo su una limousine bianca superaccessoriata. In Cosmopolis lo seguiamo come l’Ulisse di Joyce –ma questo è un Odisseo davvero contemporaneo- in una sua giornata: quella in cui decide di attraversare la città per farsi tagliare i capelli dal suo barbiere di fiducia. La sua limousine è la realtà in cui vive, in cui comunica, in cui fa sesso, in cui mangia, in cui lavora, in cui si cura, in cui controlla il tempo perché gli hanno insegnato che «il tempo è un bene aziendale oggi: appartiene al sistema del libero mercato». Attraverso la sua limousine Eric sta al mondo. Come un ventre protettivo attraverso cui filtrare ogni evento, realizzarlo, viverlo, determinarlo. Eric ritiene di poter controllare tutto dalla sua limousine. Ma lo yuan (lo yen giapponese nel film) fa crollare i mercati. Eric perde svariati miliardi. Forse è il tracollo della sua ricchezza. E la sua prostata è asimmetrica. Il medico lo scopre visitandolo nella sua limousine come ogni giorno. Ma che cosa significa? Dal punto di vista clinico, assolutamente nulla. In un magnifico dialogo finale con Paul Giamatti, che interpreta Benno Levin, un ex dipendente del giovane miliardario che lo vuole uccidere, Eric scopre l’importanza dell’asimmetria, di ciò che è sbilanciato. Lui ha cercato sempre l’armonia: tutto perfettamente coerente, uguale, esaminato, equilibrato, controllato. Benno invece gli dice che avrebbe dovuto porre più attenzione all’anomalia, a quella prostata asimmetrica: «Ecco dov’era la risposta: nel tuo corpo, nella tua prostata».
Un film volutamente filosofico, straordinario e mai eccessivo, nonostante la ferocia e persino la monotonia cupa con cui Cronenberg presenta il mondo globalizzato e capitalistico, informatizzato e meccanizzato, ordinato e controllato, persino noioso. Il film di Cronenberg si potrebbe definire “civile” se non politico. Eric sembra così distante dalla gente che passa per la via, non foss’altro che per la smisurata ricchezza. Eppure lui siamo noi stessi visti attraverso un eccesso di realtà, una lente di ingrandimento del nostro modo di stare al mondo.
È da un filosofo tedesco di nome Martin Heidegger che comprendiamo la differenza tra Mondo e Terra, spesso usati come sinonimi. Se la Terra è quel luogo nel quale ci ritroviamo a nascere, caratterizzato da una naturalezza del tutto indipendente da noi, il Mondo è invece la Terra antropizzata, costruita, edificata, resa abitabile, meno infida se si vuole. Noi occidentali viviamo nel Mondo. Senza dubbio. E vi viviamo aumentando di giorno in giorno la distanza -già notevole- con la Terra. Macchine, aerei, treni, scooter. Metallo di ogni tipo e sorta che sta posteggiato su infinite lastre di bitume o che vola nel cielo o che corre su altro metallo. Non ci facciamo più caso. È ovvio. Come a Eric appare del tutto normale trascorrere la sua giornata dentro la sua astronave. Di più. Siamo ormai dei cyborg, come ha scritto un altro filosofo, questa volta italiano, Alberto Giovanni Biuso. Il nostro corpo è vestito, oltre che di abiti, di strumenti che riteniamo utili –e magari lo sono davvero per il tempo che abitiamo-, di mezzi che portiamo addosso e che ci consentono di comunicare, di mantenere il contatto con l’esterno, a volte di vivere, se non addirittura di respirare: cellulari, occhiali, cuffie, congegni elettronici e medicali. Noi abitiamo il mondo attraverso questi schermi, noi abitiamo un mondo schermato da questi strumenti. Questa è la nostra realtà. Questa perdita totale di contatto con la Terra e questa salvifica e sventurata modalità di mediazione con il Mondo hanno determinato e aumentato le nevrosi. Persino il contatto con il Mondo, con la Terra che abbiamo trasformato e reso abitabile, si sta perdendo del tutto. Ci sentiamo protetti così, perché possiamo prevedere ogni evento, evitare il rischio, anticipare il futuro immediato, allontanare il caso, stare nella regolarità. Poi l’imprevedibile, l’imprevisto e tutto crolla. Chiusi, ovattati dentro la nostra personale limousine, inaspettatamente essa va in rovina e noi veniamo catapultati fuori dove ad attenderci è la follia. Cosmopolis è un film claustrofobico, a tratti ripetitivo, a tal punto da far saltare i nervi. È così che ti afferra per il collo e ti costringe a guardare dentro la “palla” di cristallo del nostro catastrofico futuro. Che annoiato va verso la deriva.
L’appello finale ad ascoltare il corpo che Cronenberg mette in bocca a uno squinternato quale Benno Levin non è banale intellettualismo, ma raffinato monito. Il folle di per sé rappresenta l’imprevedibile e il corpo la saggezza, la nostra unica grande risorsa poiché, come ha magnificamente scritto un altro grande filosofo, «vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza» (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, § Dei dispregiatori del corpo, Adelphi, p. 33).

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Cosmopolis
Tratto dal romanzo di Don DeLillo
Regia di David Cronenberg
Sceneggiatura di David Cronenberg
Produttori: David Cronenberg, Joseph Boccia, Paulo Branco, Martin Katz
Scenografia di Arvinder Grewal
Interpreti e personaggi: Robert Pattinson (Eric Packer), Samantha Morton (Vija Kinsky), Jay Baruchel (Shiner), Paul Giamatti (Benno Levin), Kevin Durand (Torval), Juliette Binoche (Didi Fancher), Sarah Gadon (Elise Shifrin), Mathieu Amalric (Andre Petrescu), Emily Hampshire (Jane Melman), George Touliatos (Anthony), Patricia McKenzie (Kendra Hays), Philip Nozuka (Michael Chin)
2012, Canada, Francia, Italia, Portogallo

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=cHlyQexo2Uw